Il Tribunale monocratico nel  proc.  n.  2865/17  R.G.N.R.  e  n.
2567/17 R.G. G.I.P. nei confronti di S. P. premesso che, richiesto il
rinvio a giudizio di S. P. per il reato  di  omicidio  stradale  che,
all'udienza del 18 ottobre 2018,  in  via  preliminare  il  difensore
eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 222, II comma,  IV
periodo del Codice della strada, depositando all'uopo  nota  del  poi
completata dalla nota dell'8 gennaio 2018, la doglianza prospetta  in
sintesi che: 
      la revoca della patente di guida  prevista  dalla  disposizione
come automatico effetto della sentenza di condanna o di  applicazione
pena per i reati di cui agli articoli 590-bis e', nella sostanza, una
sanzione penale, che deve rispettare i principi di  ragionevolezza  e
proporzionalita' della pena  di  cui  agli  articoli  3  e  27  della
Costituzione e, comunque, quello di ragionevolezza  insito  gia',  in
termini generali, nell'art. 3 della Costituzione: 
      cio', perche' essa non consente una adeguata valutazione. 
    Il combinato disposto del comma 2 e del comma 3-ter del  predetto
art. 222 CdS, non consente, quindi, al giudice, cosi come avviene per
la pena principale, di modulare la sanzione accessoria alla  gravita'
dell'illecito. Si  legge,  infatti,  nel  comma  2  che  in  caso  di
condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle  parti
«a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di
cui agli articoli (589-bis) e 590-bis del codice penale  consegue  la
revoca della patente di guida» e  «nel  caso  di  applicazione  della
sanzione accessoria di cui al quarto periodo del comma 2 del presente
articolo per i reati di cui agli articoli  589-bis,  primo  comma,  e
590-bis del codice penale,  l'interessato  non  puo'  conseguire  una
nuova patente di guida prima che  siano  decorsi  cinque  anni  dalla
revoca». 
    Dalla automatica applicazione della sanzione accessoria,  per  lo
piu' predefinita, prescindendo dalle concrete circostanze oggettive e
soggettive di verificazione del fatto reato, discende,  pertanto,  la
irragionevole disparita' di trattamento. 
    Infatti,  se  nel  caso  di  specie,  alla  imputata  S.,   viene
contestato il reato di cui all'art. 590-bis in relazione all'art. 583
n. 1 c.p., nel medesimo capo di imputazione si legge,  altresi',  che
la persona offesa ometteva «di servirsi dell'attraversamento pedonale
posto a distanza inferiore a 100 mt». 
    Ebbene dalla formulazione della contestazione non possono esservi
dubbi  in  merito  al  concorso  nel  reato  della  persona   offesa,
determinato dall'aver, essa stessa, posto in essere un  comportamento
in violazione della norma di cui all'art. 190 CdS e  per  conseguenza
della operativita', in  caso  di  condanna,  del  comma  7  dell'art.
590-bis c.p. In tali casi, il legislatore,  ovvero  qualora  l'evento
non  sia  esclusiva  conseguenza  dell'azione  o  dell'omissione  del
colpevole e per  conseguenza  il  fatto  sia  caratterizzato  da  una
ridotta offensivita', ha previsto che la pena sia diminuita fino alla
meta'. 
    In  tale  caso,  quindi,  non  si  consente,   in   forza   della
disposizione di cui all'art. 222  comma  2  e  comma  3-ter  CdS.  di
graduare ugualmente la sanzione accessoria. 
    La  rilevanza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
deriva proprio  dalla  predetta  imputazione  per  il  reato  di  cui
all'art. 590-bis c.p. perche', per colpa  consistita  in  imprudenza,
negligenza e imperizia, e in violazione dell'art.  141  comma  2  del
Codice della strada decreto legislativo n. 285/1992, alla guida della
vettura targata ....., percorreva la via  Campana  con  direzione  di
marcia Capanne/San Romano, quando giunta all'altezza  del  civico  1,
omettendo  di  adottare  ogni  cautela  alla  guida   per   arrestare
tempestivamente l'autovettura in presenza di ostacolo, investiva  con
la parte anteriore  sinistra  il  pedone  R.  O.,  che  ometteva  «di
servirsi dell'attraversamento pedonale posto a distanza  inferiore  a
100 mt». 
    L'ipotesi  accusatoria  e',  dunque,  incentrata  sulla   lesione
provocata alla  persona  offesa,  ed  il  nucleo  fondamentale  della
contestazione e' l'inosservanza delle norme del Codice della strada. 
    Ora,  la  possibilita'  di  modulare  la  sanzione  in  ogni  sua
declinazione,  risulta  essere  nel  processo  penale   di   assoluta
preminenza, investendo, questa, la tematica della «pena» e con  essa,
i principi costituzionali che rendono legittima la pretesa punitiva e
l'irrogazione della punizione da parte dello Stato. 
    Tanto premesso 
 
                               Osserva 
 
    Sulla rilevanza della questione 
    La rilevanza della questione di legittimita'  risulta,  altresi',
dalla non manifesta infondatezza alla luce dei principi e dei criteri
costituzionali, nonche', delle specifiche  disposizioni  della  Carta
costituzionale e della CEDU individuate quali «norme parametro» e  di
cui si denuncia la violazione da parte della norma di legge ordinaria
sospettata di incostituzionalita'. 
Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Principio di  uguaglianza.
Criterio di ragionevolezza. 
    E' in dubbio come una durata fissa e  predeterminata  della  pena
accessoria, peraltro del tutto svincolata dalla gravita'  del  fatto,
che con essa si punisce, contrasti con il principio di eguaglianza di
cui all'art. 3 Cost. 
    Da qui ne discende che la parita' del  trattamento  sanzionatorio
previsto dall'art. 222 comma 2 e comma 3-ter CdS.  ed  applicabile  a
situazione del tutto eterogenee,  si  risolve,  in  realta',  in  una
ingiustificata violazione del  principio  di  uguaglianza  formale  e
sostanziale. 
    Il principio contenuto nell'art. 3  Cost.  esclude,  difatti,  la
legittimita' della parificazione  e  della  distinzione  quando  esse
siano immotivate. 
    Di  qui  il  criterio  della  ragionevolezza,  che  consente   di
considerare  ragionevole  e  giustificabile  e  per  conseguenza  non
incostituzionale  «la  disparita'  di  trattamento»,  quando  mira  a
compensare situazioni di inferiorita'. 
Violazione  dell'art.  27  della  Costituzione.  Il  principio  della
individualizzazione  della  pena.  Il   principio   della   finalita'
rieducativa della pena. 
    E', inoltre, del tutto evidente come la durata invariabile  della
pena accessoria. prevista dalla disposizione impugnata,  si  risolva,
in fine, anche in una palese lesione dei principi  sanciti  dall'art.
27 Cost. 
    La Suprema Corte, come si legge anche nella sentenza del 4 aprile
2012-21 settembre 2012, n.  36591,  che  anche  in  materia  di  pene
accessorie, e' indispensabile interpretare le disposizioni «alla luce
del principio di individualizzazione della sanzione e della  funzione
rieducativa della pena di cui all'art. 27 Cost., comma 3». 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  rileva,  quindi,
rispetto all'art. 27 della Cost., sotto tre distinti profili. 
    Il Primo. L'automatismo  nell'applicazione  della  predetta  pena
accessoria, che segue necessariamente  a  qualunque  condanna  per  i
fatti come descritti dall'art. 590-bis. c.p., indipendentemente dalla
concreta gravita' delle condotte ascritte all'imputato, nonche' dalle
diminuenti previste nel predetto articolo. 
    Non vi e' dubbio come il carattere automatico e indefettibile  di
detta  sanzione  precluda  ai  giudice  di  apprezzare  in   concreto
l'esistenza delle ragioni giustificatrici della sua applicazione, che
devono risiedere sempre nella adeguatezza  e  nella  proporzionalita'
della pena ai fatti reato, nella individualizzazione del  trattamento
penale  in  rapporto  alla  personalita'  del  reo,  nella  idoneita'
dell'esecuzione della pena a svolgere la finalita' rieducativa. 
    Infatti, sebbene la sanzione debba essere inflitta per compensare
la colpevolezza dell'autore del reato, andando  cosi  a  ripristinare
l'ordine violato, essa, tuttavia, riesce ad assolvere detta  funzione
solo  quando  viene   comminata   in   ossequio   al   principio   di
proporzionalita' e a quello, non meno importante, di rieducazione. 
    Anche la Corte  europea  dei  diritti  dell'Uomo  ha  piu'  volte
dichiarato contrarie alla CEDU tutte quelle  sanzioni  accessorie  o,
comunque, misure limitative di diritti che discendono automaticamente
da  una  condanna  penale,   senza   una   verifica   giurisdizionale
sull'effettiva necessita' di tali sanzioni o misure. 
    Sul punto, infatti,  sorgono  perplessita'  anche  in  merito  al
rispetto dell'art. 117 Cost., in relazione agli  artt.  8  CEDU  e  1
prot. add. CEDU. 
    Valga per tutte la  sentenza  della  Corte  europea  dei  Diritti
dell'Uomo, terza sezione, del 23  marzo  2006,  Vitiello  c.  Italia,
nella quale la Corte di Strasburgo, si e'  pronunciata  sulla  natura
estremamente afflittiva delle sanzioni accessorie, affermando che «le
limitazioni derivanti dall'applicazione della pena accessoria  devono
considerarsi quali ingerenze nel godimento del  diritto  al  rispetto
della vita privata e, come tali, non soltanto devono essere  previste
dalla legge e debbono  perseguire  uno  scopo  legittimo,  ma  devono
essere  proporzionate  rispetto  a  detto   scopo,   comportando   la
violazione del divieto di discriminazione nel godimento  del  diritto
al  rispetto  della  vita  familiare  oltre  che  una  ingerenza  nel
godimento del diritto di proprieta'». 
    E' sufficiente, infatti, considerare come  la  automatica  revoca
per anni cinque  del  titolo  abilitativo  alla  guida  comporti  una
irragionevole  restrizione   della   liberta'   personale,   affatto,
giustificata dalla gravita' di tutte le condotte, descritte dall'art.
590-bis. c.p., determinando cosi una incisiva limitazione di beni  di
rilevanza costituzionale. 
    La seconda. La ampiezza delle limitazioni, sia in senso temporale
che qualitativo, che discendono dall'operare della pena accessoria. 
    Le pene accessorie, inoltre, risultano  sproporzionate  anche  in
ragione  della  loro  portata  estremamente  ampia.  Esse,   difatti,
finiscono per incidere non solo  sul  diritto  al  lavoro  rendendolo
estremamente difficoltoso  e  talvolta  addirittura  impedendolo,  ma
anche sulla vita e sulla stessa identita'  del  condannato,  operando
alla stregua di una sorte di «emarginalizzazione civile». 
    La terza. La fissita' della durata della pena accessoria. 
    Infine, la disposizione censurata contrasta con il  principio  di
proporzionalita' della pena,  cosi'  come  enucleato  dalla  costante
giurisprudenza della Corte costituzionale, nonche' con  il  principio
di  necessaria  individualizzazione   della   pena,   che   si   pone
antologicamente in contrasto con previsioni sanzionatorie  rigide,  a
meno  che   questa   non   appaia,   prima   facie,   ragionevolmente
«proporzionata» rispetto a  tutti  i  comportamenti  descritti  nella
fattispecie di reato. 
    Ora, la durata fissa della pena non e' affatto  in  linea  con  i
principi  costituzionali,  in   particolar   modo   con   quelli   di
proporzionalita' e  necessaria  individualizzazione  del  trattamento
sanzionatorio. 
    Sul punto la Corte costituzionale  ha  sempre  affermato  che  la
individuazione del  trattamento  sanzionatorio  per  fatti  reato  e'
riservato alla discrezionalita' del  legislatore,  in  conformita'  a
quanto  stabilito  dall'art.  25,   secondo   comma,   Cost.,   detta
discrezionalita',  pero',  non  deve  mai  sfociare  in  una   scelta
manifestamente  irragionevole,  che  si   estrinseca   nella   palese
sproporzione della pena rispetto  alla  gravita'  del  fatto  e  alla
personalita' del reo. 
    Non vi e' dubbio, infatti, come una sanzione  sproporzionata  non
possa  non  violare  sia  all'art.  3  Cost.  che  l'art.  27   Cost.
risolvendosi di fatto in un vero e  proprio  ostacolo  alla  funzione
rieducativa della pena. 
    E  se  e'  vero  che   il   Legislatore   tende   ad   assicurare
«individualizzazione»  del  trattamento   punitivo,   attraverso   la
previsione di un minimo ed un massimo di pena comminabile rispetto  a
un dato reato, altrettanto vero e' che tale  risultato  si  raggiunge
attraverso la valutazione di tutte  le  circostanze  contenute  negli
artt. 133 e 133-bis c.p. attuata dal Giudice, il quale solo all'esito
di  questa  verifica  infliggera'  una   sanzione   calibrata   sulla
situazione  del  singolo  condannato,  in  attuazione   del   mandato
costituzionale di «personalita'» della responsabilita' penale di  cui
all'art. 27, primo comma, Cost. e per questo,  quindi,  proporzionata
in relazione alla concreta  gravita',  oggettiva  e  soggettiva,  del
fatto effettivamente commesso. 
    Ora,  la  discrezionalita'  del  giudice,   dunque,   ben   lungi
dall'essere arbitrio, e' lo strumento attraverso il  quale  lo  Stato
adegua  la  propria  risposta  punitiva  alle   singole   fattispecie
concrete. 
    Ebbene, la eccezione di incostituzionalita', di cui  si  discute,
deriva dal fatto che il comma 2 e il comma 3-ter dell'art.  222  CdS,
pongono sullo stesso piano e  applicano  la  medesima  sanzione,  non
concedendo possibilita' di graduazione, a fatti-reato diversi  quanto
all'evento (omicidio colposo, da un lato, e lesioni colpose  gravi  o
gravissime  dall'altro)  e   frutto   di   condotte   eterogenee   ed
espressamente  previste  in  modo  dettagliato   e   specifico,   con
graduazione delle pene, proprio dagli arti. 589-bis  c.p.  e  590-bis
c.p. In ragione di cio' alla predetta norma ben puo' essere  riferito
l'iter argomentativo della predetta sentenza n. 222 del 2018.